Nori de’Nobili. L’emancipazione negata.
Nori de’ Nobili nacque a Pesaro nel 1902 da una famiglia aristocratica e fu la maggiore di quattro figli. Trascorse una fanciullezza borghese, tra Pesaro e Brugnetto, frazione del comune di Ripe, nell’elegante villa settecentesca detta delle “cento finestre”. Amava studiare e aveva una particolare predisposizione per il disegno: il suo insegnante, il pittore Giusto Cespi, fu il primo a riconoscerne il talento. Nori avrebbe preferito proseguire gli studi, ma, all’epoca, era un “vezzo” concesso solo ai rampolli maschi dell’aristocrazia. Dopo due anni passati a Roma con il padre, dove, in collegio, si dedicò allo studio delle lingue straniere e al perfezionamento dell’arte del disegno, nel 1924 seguì la famiglia a Firenze, città ideale per una mente così aperta e creativa. Con Ludovico Tommasi, esponente di spicco della scuola dei Macchiaioli, oltre che seguace di Silvestro Lega, allargò i suoi orizzonti artistici, ma non solo: frequentando il Caffè delle Giubbe Rosse, punto di incontro di artisti e letterati, approfondì anche la sua formazione letteraria avvicinandosi ai fondatori del movimento Novecento e al gruppo di Strapaese facente capo ad Ottone Rosai e Mino Maccari. Il rapporto contrastato con l’influente critico d’arte Aniceto Del Massa, fu un vero “delirio passionale” vissuto tra pubblico e privato, ma permise a Nori di partecipare alla IV Mostra regionale d’arte toscana nella primavera del 1930. Solo con il fratello Alberto riuscì ad instaurare un rapporto profondo: era l’unico della famiglia che riconoscesse la sua sensibilità e la sua arte e riuscì perfino, in seguito, a dissuaderla da un tentativo di suicidio. Ben presto, infatti, nacquero dissapori con il resto dei famigliari, soprattutto con la madre e la sorella minore: nonostante Nori fosse ben inserita nella vita intellettuale dell’epoca, la ostacolarono in ogni modo, fino a costringerla al primo ricovero in clinica, a Bologna.
Iniziò così il suo peregrinare da una clinica all’altra. Il distacco dalla società si fa sentire e Nori perde ogni interesse, rifugiandosi nella pittura che, inevitabilmente, riflette il suo cambiamento: se prima era silenziosa e sognante, ora assume tratti decisi e toni espressionistici. Nel 1933, la morte prematura del fratello Alberto, le provoca un crollo psichico e, qualche anno più tardi, la famiglia ne decreta l’internamento a vita. Nel 1937, a soli 33 anni, Nori viene rinchiusa a Villa Igea di Modena. Negli anni di manicomio, la sua creatività si esprime attraverso la poesia e la pittura. Scrive, in inglese e in francese, un diario interiore, senza date, continuo e senza tempo. «Non è più dentro di me l’anima, ma in settecento pagine è passata. Ormai nel libro essa è tutta inserrata. Io non sono più io. È il libro Nori. Io non sono più Nori. Il colore dell’esser mio dalle pagine è passato». Dipinge su ogni superficie, coperchi di scatole, copertine, tele, carta, lastre mediche. Nella serie delle bambole, si ritrae in abiti maschili ed esegue molti autoritratti, cambiandosi spesso l’aspetto, ma tende a non mostrare quasi mai il suo volto: spesso è nascosta da ventagli o maschere, quasi spettatrice del mondo che la circonda. I suoi sono scritti e quadri senza tempo, come se, alla fine, fosse riuscita a trovare in sé la liberazione dalle costrizioni che la società le impose.
Oggi la sua città ha riscattato la sua esistenza e la sua opera: il Museo Nori De’Nobili, importante spazio culturale e artistico, Centro Studi sulla Donna nelle Arti Visive Contemporanee, è stato inaugurato il 7 ottobre 2012, al centro della Municipalità di Ripe, nel Villino Romualdo. Sono presenti 70 dipinti, che ripercorrono tutta la sua contrastata esistenza. Il Museo, uno dei pochissimi al mondo dedicato interamente ad una figura femminile, è anche sede dell’archivio storico di Nori, che conta oltre millequattrocento opere.
I open Paroleacapo for my great love: the Theater which allows me to travel while I’m still, dreaming sitting in the audience, dance in the gallery and take pics before the curtain rises!
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